WikiLeaks rivela la politica dietro il cambiamento climatico

Oggi, la lotta al cambiamento climatico è una priorità.
Ma, dietro la retorica della salvaguardia del pianeta, si nasconde una realpolitik fatta di denaro, minacce e spionaggio.
Ecco cosa ha rivelato WikiLeaks

Proprio in questi giorni, a Sharm El-Sheikh, si sta tenendo la COP27 (27esima edizione della Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico).
Leader e imprese da tutto il mondo si mostrano sensibili ai temi ambientali, avanzando proposte e facendo promesse e accordi.

I retroscena dell’accordo di Copenaghen

La COP15, tenutasi nel 2009 a Copenaghen, è nota per aver portato la politica sui cambiamenti climatici al massimo livello. Ha visto la partecipazione di 115 leader da tutto il mondo, rendendo la Conferenza uno dei più grandi raduni a livello mondiale.

Proprio in questa occasione è stato stipulato l’Accordo di Copenaghen, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio e rispondere con forza ai cambiamenti climatici.
Tra gli obiettivi di Copenaghen:

  • L’aumento massimo della temperatura globale a non più di 2 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali (rivisto nel 2015).
  • Finanziamenti per ridurre le emissioni di gas serra nei Paesi in via di sviluppo (30mila dollari tra 2010-2012, e finanziamenti di oltre 100miliardi entro il 2020)
  • Accordo sulla misurazione, rendicontazione e verifica delle azioni nei Paesi in via di sviluppo
  • Istituzione di un gruppo di alto livello nell’ambito della COP per studiare l’attuazione delle disposizioni finanziarie
  • Fondazione del Copenaghen Climate Fund

Secondo i documenti forniti da WikiLeaks, gli USA avrebbero cercato di manipolare l’accordo mediante atti di spionaggio.

Nel 2008, la NSA avrebbe intercettato comunicazioni private tra diplomatici giapponesi e tedeschi in merito all’imminente COP15, allo scopo di ottenere vantaggi nei negoziati.
Il 31 luglio 2009, per conto della CIA, il Dipartimento di Stato ha inviato un cablogramma segreto ai vertici dell’ONU per chiedere informazioni su diversi temi, tra cui il cambiamento climatico.
In particolare, sono state richieste le posizioni negoziali dei Paesi, prove di accordi tra Nazioni e di elusioni di trattati, da utilizzare come merce di negoziazione.

L’accordo di Copenaghen, inizialmente, non è stato accolto dai Paesi più poveri e meno sviluppati.
Questo perché non poteva garantire i tagli globali ai gas serra, e rischiava di eludere i negoziati sull’estensione del Protocollo di Kyoto.
Ma, stando ai cablogrammi, era nell’interesse degli USA che il maggior numero possibile di Paesi aderisse all’accordo, e che questo venisse adottato ufficialmente. Le piccole nazioni insulari avrebbero ricevuto miliardi di dollari di aiuti, rendendosi vulnerabili alle pressioni finanziarie in cambio del sostegno politico. In particolare, sarebbero potuti diventare alleati contro le economie in ascesa di Brasile, Sudafrica, India e Cina.

In merito a questo, il vice inviato degli Stati Uniti per il cambiamento climatico, Jonathan Pershing, rivela in un cablo:

I Paesi dell’Alleanza dei piccoli Stati insulari potrebbero essere i nostri migliori alleati, dato il loro bisogno di finanziamenti.

Tra questi Paesi c’erano, per esempio, le Maldive, che consideravano l’accordo vantaggioso. Ma anche l’Etiopia, convinta a firmare sotto la minaccia di interrompere le discussioni sul cambiamento climatico.

Il ruolo della geopolitica dietro la salvaguardia dell’ambiente

In diverse occasioni, la geopolitica e gli interessi nazionali degli USA hanno ostacolato la lotta al cambiamento climatico.

Scienziato iraniano ostacolato dalla politica estera statunitense

Nel 2009, gli USA hanno esercitato pressioni sul Presidente del IPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) per evitare l’elezione dello scienziato iraniano Mostafa Jafari a vicepresidente di un importante working group.

La cooperazione tra USA e il vicepresidente iraniano sarebbe problematica e potenzialmente in contrasto con la politica estera degli Stati Uniti verso l’Iran.

L’elezione di Jafari avrebbe reso complicato l’invio di finanziamenti al IPCC da parte degli USA, essendo lo scienziato un alto impiegato del governo iraniano.

Jafari è uno scienziato altamente qualificato, ma la sua posizione di alto dipendente del governo iraniano complicherebbe significativamente i finanziamenti per il gruppo di lavoro dell’IPCC.

Il caso delle Isole Chagos

In un’altra occasione, la lotta al cambiamento climatico sarebbe stata utilizzata come pretesto per mettere in difficoltà gli abitanti dell’arcipelago delle Isole Chagos, nell’Oceano indiano.

Le isole, situate a 1800 km dall’arcipelago delle Mauritius, si trovano al centro di un accordo tra UK e USA.
La questione risale al 1965, quando i britannici separarono le Isole Chagos dalle Mauritius, allontanandone i 3000 abitanti.
Alcuni Chagossiani opposero resistenza, finendo per subire uno sgombero forzato al quale seguì la costruzione della base statunitense a Diego Garcia.
Per mettere un freno alle continue rivendicazioni degli isolani, nel 2009, il Regno Unito tentò di trasformare l’area in riserva naturale.

I cablo di WikiLeaks mettono in luce le reali intenzioni del Regno Unito, per le quali era necessario l’assenso degli USA.

Per gli abitanti sarà molto difficile, se non impossibile, portare avanti l’obiettivo di reinsediarsi nelle Chagos, se queste diventassero una riserva marina.

In seguito alla pubblicazione, i Chagossiani hanno dato il via a un procedimento giudiziario contro il Regno Unito, portando il cablo direttamente in aula.
Nel 2017, la Corte internazionale di giustizia ha posto agli inglesi “l’obbligo di porre fine alla sua amministrazione dell’arcipelago Chagos il più rapidamente possibile“.
Tuttavia, il Regno Unito ha reagito considerando la richiesta “un parere consultivo” e non un giudizio.
Inoltre, ha dichiarato che:

Le strutture di difesa del Territorio britannico dell’Oceano Indiano contribuiscono a proteggere i cittadini britannici e di tutto il mondo dalle minacce terroristiche, dalla criminalità organizzata e dalla pirateria.

Ad oggi, le Isole Chagos rimangono sotto l’amministrazione inglese.

La corsa all’Artico

Alcuni cablo, tra il 2007 e il 2010, mettono in luce la corsa alle risorse dell’Artico, che avrebbe scatenato forti tensioni militari tra Paesi nordici, NATO e Russia.

Il Polo Nord è oggetto di competizione tra i Paesi di tutto il mondo, essendo un’enorme riserva di petrolio e risorse energetiche. Secondo le stime, ci sarebbero 90 miliardi di barili di petrolio, 1.669 trilioni di piedi cubi di gas naturale e 44 miliardi di barili di liquidi di gas naturale.

In uno dei documenti, gli USA fanno riferimento a un “potenziale aumento delle minacce militari nell’Artico“, con riferimento al tentativo della Russia di rivendicare vaste aree del territorio.
La posizione vantaggiosa della Russia, deriverebbe proprio dal riscaldamento globale.

Dietro la politica (artica) della Russia ci sono due potenziali benefici derivanti dal riscaldamento globale: la prospettiva di una rotta di navigazione libera dai ghiacci (anche stagionalmente) dall’Europa all’Asia e la ricchezza stimata di petrolio e gas nascosta sotto il fondo marino dell’Artico

Come osserva GreenPeace, il quadro rivelato dai cablo è preoccupante.

Invece di vedere lo scioglimento della calotta polare artica come uno stimolo all’azione sui cambiamenti climatici, i leader delle nazioni artiche stanno invece investendo in attrezzature militari per combattere per il petrolio sottostante. Si stanno preparando a combattere per estrarre gli stessi combustibili fossili che hanno causato lo scioglimento in primo luogo. È come versare benzina sul fuoco.

Rifiuti tossici, materiali radioattivi e burn pits

In diverse zone del mondo, i rifiuti tossici derivanti dalla guerra hanno danneggiato l’ambiente, costringendo gli abitanti a vivere in gravi condizioni.
Ne è un esempio Basra, seconda città più grande dell’Iraq.
Qui, il 70% degli abitanti delle campagne e il 40% dei cittadini non ha accesso all’acqua potabile, contaminata da armi radioattive e petrolio.

Anche in Iraq, Afghanistan e Siria, veterani e cittadini continuano ad ammalarsi e morire in seguito all’inquinamento dell’ambiente.


La causa principale sono i burn pits, enormi pozzi di combustione costruiti dall’esercito USA nelle zone di guerra per smaltire i rifiuti tossici.
In un memo pubblicato da WikiLeaks risalente al 2006, il Dipartimento della Difesa discute la pericolosità della fossa di Balal, in Iraq, il burn pit più grande e pericoloso. Nel documento, la fossa viene definita un “pericolo acuto per la salute”.
Il capo dei servizi aeromedici dell’Aeronautica, James Elliott, conferma che i fumi della fossa contengano “agenti cancerogeni” e che siano “un pericolo cronico per le truppe e per la popolazione locale”.
Nel memo, infine, la fossa di Balal viene giudicata “il più grande rischio ambientale mai visto”.

Accordi e negoziati per minare la salute della Terra

Nel Cablegate vengono menzionati alcuni accordi internazionali che minerebbero la lotta al cambiamento climatico.
Tra questi il TPP (Trans-Pacific Partnership), che promette l’espansione di politiche a favore della protezione dell’ambiente. Tuttavia, come rivela WikiLeaks, l’accordo è “degno di nota per l’assenza di clausole di mandato o di significative misure esecutive”.

Un altro accordo da osservare è il TTIP o TAFTA (Transatlantic Trade and Investement Partnership). I meccanismi dell’accordo permetterebbero a imprese e multinazionali di fare causa ai governi in caso di perdite di profitto dovute a leggi per salute, sicurezza e protezione ambientale.

Infine il TISA (Trade in Services Agreement) che minerebbe la possibilità, per un Paese, di mantenere il controllo sulle proprie risorse naturali. Queste, infatti, entrerebbero nel libero mercato favorendo i fornitori esteri di servizi connessi all’energia.

COP27 tra cambiamento climatico e politica

Quello che si osserva nei cablo di WikiLeaks è che anche temi di assoluta importanza, come il cambiamento climatico e la salvaguardia del pianeta Terra, si trovano a dover fronteggiare interessi politici, geopolitici ed economici.
Interessi la cui rivelazione potrebbe costare 175 anni di carcere al fondatore di WikiLeaks, Julian Assange.

In questi primi giorni di COP27, l’Unione Europea ha dichiarato di volersi impegnare nel taglio delle emissioni di gas serra. In particolare, l’Italia si è posta l’obiettivo di tagliare del 43,7%, rispetto al 2005, le emissioni di gas serra derivanti dalle attività di agricoltura, trasporti, edifici e piccola industria.
Alcuni Paesi europei, tra cui Belgio, Austria, Germania, Danimarca e Scozia, hanno stanziato dei fondi per sostenere i Paesi in via di sviluppo. L’obiettivo è raggiungere 100 miliardi di dollari entro il 2023.
Infine, è stato lanciato ICS, il nuovo piano d’azione per la decarbonizzazione del trasporto marittimo.

La speranza è che, dietro queste promesse, ci sia un reale interesse nella salvaguardia dell’ambiente e dell’umanità.

Giulia Calvani

Lascia un commento